Carlo Paolino V

Le note che seguono si riferiscono sia ai tre Tomi delle “Commedie di Terenzio”, che agli otto Tomi delle “Opere di Orazio”, in cui si fa esplicito riferimento ad Antonio d’Aronne, maestro del Paolino. Da esse possiamo cogliere la grande venerazione del Paolino per il suo maestro, l’uso delle regole contenute nella “Grammatica Filosofica” del d’Aronne, la volontà espressa dal Paolino a volersi adoperare affinché  il testo del suo maestro fosse pubblicato, per rendere un grande servizio alla studiosa gioventù.

Note tratte da:

LE COMMEDIE DI  P.TERENZIO AFRICANO
con la 
Versione , ed Annotazioni
del Sacerdote
Carlo Paolino  
con riferimenti al suo maestro Antonio d’Aronne

Sogliono i Commentatori passar sotto silenzio quelle cose , ch’essi, o non intendono, o  delle quali non sanno assegnar alcuna ragione. Niuno fa parola della sintassi di questo luogo… Or la ragione di questa maniera di dire di Terenzio io la ricavo da ciò, che l’avvedutissimo mio maestro D. Antonio Aronne affermava del nome aggettivo, il quale non può nel discorso unirsi senza il nome sostantivo, o espresso o sottinteso. Il nome aggettivo, diceva egli, è un genere, che contiene moltissime specie, e perciò eguaglia nel singolare tutte le specie che da lui si abbracciano. (nota  32, Atto III, Scena V, I Fratelli)

Gli Autori del Portoreale direbbero che, dovendo il genitivo esser retto da un altro sostantivo, qui bisogna intendere “dolore animi”. Il mio dotto maestro D. Antonio Aronne, il quale pensò fare una Grammatica Filosofica, volea che il genitivo notasse sempre la differenza: di maniera, che in questo luogo “animi” altro non denoti, se non che la differenza  del dolore che si sentiva (ch’era quello dell’animo) da ogni altra specie di dolore del corpo, o di qualunque parte di esso. Così “egeo nummorum” notasi col genitivo la differenza del bisogno di denari da qualunque altro bisogno, come di viveri, o di abiti, o di qualsivoglia altra cosa. Così egli con regole generali evitava la quantità di tante regole inutili, e piene di eccezioni. (nota 1, Atto IV, Scena IV, I Fratelli)

Io anziché seguire ciò, che ne dicono gli altri Grammatici, sono del sentimento del fu mio avvedutissimo maestro D. Antonio d’Aronne, il quale preoccupato dalla morte, non potè seguire la stampa della sua Grammatica Filosofica; la quale non pertanto, e Iddio, e le mie occupazioni lo permetteranno, non sono in dubbio di dare alla luce per sommo utile e vantaggio di chi voglia nello studio delle lingue fare in breve moltissimo profitto. Egli dunque dicea che il genitivo nota sempre la differenza. (nota 10, Atto I, Scena IV, Il Formine)

Ed in questo luogo non posso fare a meno di riferire, per l’onore della verità ciò, che riflettendo su questo passaggio di Terenzio la felice memoria del Sign D. Antonio Aronne, uomo sommamente rispettabile non meno nelle Scienze Metafisiche, che nella coltura delle Lettere Latine, felicemente spiegò, e si attribuirono poi coloro, che dopo la sua morte diedero alle stampe le loro Istituzioni Canoniche. Non si era ancora potuto da’Canonisti mai spiegare il passaggio, che nella vita di S. Sisto, siccome si riferisce da S. Ambrogio lib. I de Offic. Cap. 41, si legge: “cui commisisti Dominaci sanguinis consecrationem? “ La quale domanda, facendosi fare da S. Lorenzo, ch’era soltanto Diacono, fa insorgere il dubbio, se i Diaconi potessero consacrare. Quindi moti Canonisti invece di “consecrationem” volevano che si dovesse leggere “dispensationem”.  Il Sign. D. Antonio Aronne dunque fin dall’anno 1750, considerando che il medesimo S. Padre nel “communicantes” della Messa dell’Epifania, come anche in quella dell’Ascensione del Signore, ed altrove, usa questa maniera di dire; ne ricavò la giusta conseguenza che questo S. Dottore grandemente dilettatasi di una simile maniera di parlare cotanto, come abbiamo detto sopra, usitata presso gli ottimi Scrittori Latini… Or la felice memoria del chiarissimo D. Giuseppe Cirillo, allorché D. Antonio Aronne gli comunicò, come a suo stretto amico e Revisore insieme della suo Grammatica Filosofica sotto il titolo di ”Arte di parlare in Latino”, che aveva cominciato a stampare, gli comunicò dico una tale sua interpretazione, ne restò grandemente ammirato insieme, e compiaciuto, e gli confessò questa essere la vera interpretazione di tal passaggio, sebben’egli lo avesse nella sua edizione delle Istituzioni Canoniche spiegato con dire…Gli altri Canonisti poi …non han fatto bene ad  appropriarsi quella loda che ad essi non tocca. Di una tale verità possono essere oggidì veridici ed onestissimi testimoni il Padre Gherardo De Angelis de’Minimi; uomo troppo noto alla Repubblica Letteraria, non meno per la sua eloquenza, ed opere date alla luce, che per le sue virtù morali, e per la sua integrità; il quale era il Revisore Ecclesiastico della detta sua opera, e al quale per la strett’amicizia confidava ogni suo minimo pensiero. L’integerrimo, e degnissimo Giudice della Gran Corte della Vicaria D. Pasquale Ferrigni, che nel tempo, in cui esercitava l’onorevole carica di Pubblico Lettore di Legge nella nostra Università passava con esso lui buon’amicizia e faliarità. E finalmente il degnissimo Avvocato D. Ignazio Parisi, di cui fu maestro nella Dialettica, e Metafisica, e nelle Belle Lettere, ed Eloquenza Latina, e Italiana, e non men conto, e lodevole per gli’incorrotti suoi costumi, che per lo suo sapere: come ancora gli stessi Manoscritti, che da me si conservano di una tale Grammatica di lui , e lettere da esso D. Antonio dettate ai suoi discepoli nell’anno 1751, sopra un tal soggetto e le quali si conservano dal Signore D. Cristofaro Galizia e dal Signore D. Antonio Pompeiano, che andavano ad apprendere le Lettere Umane e la Dialettica. (nota 26, Prologo, La Suocera ).

Notisi qui ciò, che si è da me altre volte notato, e che, come cosa poca da altri capita, niuno si è brigato di spiegare; cioè, che era, essendo un accusativo plurale, sembra male accordarsi con quid, suo antecedente. La ragione dunque si è che, considerandosi i pronomi egualmente, che i nomi aggettivi, come tanti generi che sotto sé contengono molte specie, ed equivalendo il genere nel singolare a tutte le sue specie unite insieme, vale lo stesso si quid peccatum est , che si qua peccata admissa sunt, e perciò può bene unirglisi ea, peccata ecc che era la ragione la quale nella sua Grammatica Filosofica ne dava il Signor D. Antonio Aronne (nota 12, Atto II, Scena II, La Suocera )

Note tratte da:

LE OPERE D’ORAZIO
con la versione Italiana
di Carlo Paolino
e colle note critiche, e filologiche del medesimo
con riferimenti al suo maestro Antonio d’Aronne

Il fu D. Antonio Aronne, il quale avea pressoché terminata una sua Grammatica Filosofica, dicea, che il genitivo nota sempre la differenza, e che questa si allogava in tal caso. (Tomo II, Libro I, Ode 22,  nota, 1 )

Mr. Dacier biasima quei grammatici, i quali dicono, che questo genitivo sta in luogo dell’ablativo…Ma chi non vede l’incoerenza del supplire una voce greca in un discorso latino? Il mio maestro D. Antonio Aronne dicea, che il genitivo notava sempre la differenza, nonché nel parlare latino, ma in tutte le lingue. (Tomo II, Libro II, Ode 2, nota 6)

Se avessero Mr. Dacier e il P. Sanadon  potuto preintendere ciò, che il più gran filosofo in materia di lingua, cioè il fu mio maestro D. Antonio d’Aronne, mettea per una delle infallibili sue regole generali, non si sarebbero, il primo lambiccato per lo spazio di 20 anni, com’egli confessa, il cervello, per poi appigliarsi finalmente all’errore; né il secondo se lo sarebbe stillato in andar cercando ragioni, e consimili esempi, per dimostrare il contrario, e giustificare l’espressione di Orazio.  (Tomo II, Libro II, Ode 15, nota 6)

Sopra una tale maniera di parlare riflettendo il fu D. Antonio Aronne spiegò quel luogo di S. Ambrogio, che non erasi potuto spiegare per tanti secoli (Tomo III, Libro III, Ode 1, nota 42).

Notisi a che sorta di inezie danno talvolta i grandi Critici… Piacemi qui ripetere quella regola generale di D. Antonio d’Aronne, che la differenza, senza veruna eccezione si esprime col genitivo, senza esservi bisogno di alcun sostegno. .(Tomo III, Libro III, Ode 11, nota 26)

Mi sovviene, che dicea il dotto mio maestro D. Antonio d’Aronne, che tutt’i luoghi dai Portorealisti rapportati, che “negatium” significhi “rem”, denotan sempre azione e non mai cosa. Il medesimo maestro il quale dicea, che l’aggettivo dè considerarsi, come un genere in Filosofia, che abbraccia le sue specie, o maschili, o femminili, o neutri, o singolari, oplurali. (Tomo III, Libro III, Ode 29, nota 49).

Ma ripeto ciò, che ho tante volte detto, che la differenza può sempre esprimersi col genitivo, regola generalissima del gran Filosofo in materia di lingue, D. Antonio Aronne.  .( Tomo IV,Libro IV,  Ode 6, nota 39)

Della nota fatta su questo luogo dal P. Sanadon , ne avrebbe fatto a meno, se avesse potuto egli preintendere, e sapere la regola senza eccezione del fu D. Antonio Aronne, che la differenza l’hanno i Latini quasi sempre espressa col genitivo… Così non vi ha bisogno né di supplementi per sostenere il genitivo, né di ellissi, o di altre inezie dei puri, e non pesanti Grammatici. (Tomo IV, Libro IV, Ode  13,  nota 18)

La ragione, per cui qui “ultima” non è un epiteto inutile, non è quella, che vuole Sanadon  perché sta invece della particella modale “ultimo”, ma quella, che altrove ho riferita più volte assegnarsene dal fu D. Antonio Aronne, nella Grammatica Filosofica, che pensava dare alla luce. Egli dicea, che gli aggiunti, o aggettivi, sono come tanti generi, i quali non può sapersi di chi si dicono, se ciò non si specifica e determina dal sostantivo. Così qui non si saprebbe di chi si direbbe “ultima”, se non si aggiungesse “mors”. Ed ecco perché non è un pleonasmo vano, inutile, e vizioso.(Tomo V, Satira 7, nota 13)

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