Carlo Paolino IV

Di seguito riportiamo delle note scelte, scritte dal Paolino, su alcuni versi delle Commedie di Terenzio per mettere in evidenza la vasta cultura umanistica dell’Autore e il suo messaggio didattico rivolto soprattutto ai giovani.

Note tratte dai Tre Tomi delle “Commedie di Terenzio” :

– Cuius consilio ea par fuerat prospici… Notino qui dunque i giovanetti; a’ quali, siccome mi sono protestato nella lettera al Lettore, è stato il mio principale intendimento di giovare; che in questo luogo prospicio è preso nel suo primario senso di guardare di lontano, di considerare ecc. Così ea sarà il nominativo di fueratpar sarà il secondo nominativo di unione ed accoppiamento col primo ea; e prospici sarà governato da par, che è lo stesso, che digna; sicchè prospici  vaglia lo stesso in questo luogo, che quae prospiceretur(La suocera, Atto III, Scena VI, nota 46).

– Sed continuo…  Continuo è un avverbio, il quale nasce da  continuus, e continuus da contineo, siccome contiguus da contigo, o contingo. Significa  immediatamente, immantinente, subito ecc.  Il che ho voluto notare, perché avvertano i giovanetti a non confonderlo colla significazione di continenter, o semper, cioè continuamente, giacchè ho veduto cadere in questo errore uomini grandi in altre discipline. Continuum poi significa quel, ch’è ristretto tra comuni termini; macontiguum quel, che ha il termine, o confine suo proprio, ma tra questo, e quello di altra cosa, niente si tramezza. Quindi continuo significa, come ho già detto, incontinente; perché tempus, dice il Vossio, quo quid dicitur, et quo praestatur, uno, eodemque momento, velut communi termino conjungitur.(La suocera, Atto III, Scena III, nota 9)

 –Quia scibam, dubiam fortunam esse scenicam… Or piacemi qui notare, perché si avvezzino i giovani a riflettere su l’etimologia, ed analisi delle parole, che l’aggettivo dubius, el sostantivo  dubium, si dicono quasi duvius, e duvium, cioè quod duas vias habent, sicchè non si sappia a quale di esse entrare; siccome dubito si compone da duo, ed ito frequentativo di eo, ciò, che esprime il desiderio di andare per l’una strada , ed ora per l’altra, senza potersi determinare. Scenicus poi, che viene da scena, ha la sua origine intieramente dal Greco σχηνή, e σχηνιχός  (La suocera, Prologo, nota 8).

Ulcisci…  Non sarà fuor di proposito che i giovanetti sappiano certe derivazioni, e vere etimologie di alcune parole non facili ad essere da loro con facilità indagate. Ulciscor nasce dall’antico  verbo ulluco che diceano anche ullo, ed ulluco, e significavano vindictae gratia  aliquem perditum eo , cioè rovinare alcuno per vendetta. Da ulluco fecero ulliciscor, ed indi per sincope  ulciscor. Questi medesimi tre verbi nascono da ‘tre altri Greci òλλυχω (come si trova in Esichio) όλλω, ed όλλύω, che tutti, e tre significano parimente mandare a perdizione, a rovina ecc. ( Il Formine, Atto V, Scena VI, nota 70)

Ita poetam restitui in locum…  Si noti da’ giovanetti di quanto avvedimento, ed accortezza fa bisogno nello scrivere, e nel tradurre. Qui l’Autore non dice Cecilium restitui; ma poetam, per far conoscere ch’egli con ciò avea fatto servigio, non tanto a Cecilio, quanto al popolo Romano.   (La suocera, Prologo, nota 13)

Quisnam a me repulit tam graviter fores?  Piacemi qui per la maggior chiarezza de’ giovanetti spiegare a verbo questo passaggio: Chi mai uscendo di casa mia ha picchiata così  gravemente , (cioè con tanto rumore) la porta? ( I Fratelli, Atto V, Scena I, nota 2)

Quod ille unciatim vix de demenso suo, suum defrudans genium, comparsit miser… Ammirabile è questo passaggio di Terenzio, e sempre meraviglioso è egli medesimo in fare la descrizione delle cose. Non si potea con maggior forza; né con più vivi colori dipingere lo stento, con cui Geta appronta il donativo per la sua padrona. Ogni parola sempre più maggiorment’esprime un tale stento. Quell’unciatim, quel vix, quel de demenso suo, quel suum defrudans genium, ecomparsit miser sono tratti di pitture da non potersi imitare. (Il Formine, Atto I, Scena I, nota 9)

Suo sibi gladio hunc jugulo… Gli Annotatori di Terenzio, o non si mostrano intesi del pronome sibi, che in questo luogo sembra ridondante, o seguendo Donato dicono che così veteres solent loqui, ed essere un pleonasmo.   Io non credo che Terenzio abbia mai usata una sola sillaba senza qualche mira, o almeno senz’aggiugnere qualche vaghezza al dire; come sarebbe stato non fuor di proposito dire in questa occasione, in cui par che realmente apporti al dire grazia insieme, ed energia…   (I Fratelli, Atto V, Scena VI, nota 35)

– Nam tua quidem hercle certe...  Niun altro Scrittore è stato mai così felice nell’unione ed accozzamento delle particelle, quanto il nostro Terenzio… (Il Formine, Atto I, Scena III,nota 12)

– Nonne haec justa tibi videntur postea? … A me pare che possa togliersi ogni dubbio se si voglia alquanto ragionare su questo luogo, e si comprenderà insieme che “postea” non sia superfluo…E’ dunque superfluo per coloro, i quali pensano intorno alle lingue materialmente, e senza il vero principio, che  le medesime hanno ancor esse la loro filosofia corrispondente a quella de’ pensieri, che per mezzo di esse si esprimono. Quindi nasce che coloro, i quali non si sono avvezzi a filosofar sulle lingue, incontrano maggiore, anzi tutta la difficoltà, nell’intendere bene, e nell’apprendere le altre scienze. ( I Fratelli, Atto IV, Scena V, nota 26)

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